Una nuova ricerca condotta da un gruppo internazionale di ricercatori (Cina, USA e Italia) pubblicata sulla rivista Advances in Atmospheric Sciences ha utilizzato dati aggiornati al 2020 per verificare l’andamento delle temperature di superficie nelle acque marine internazionali.
Il risultato è un record di temperatura in ulteriore rialzo rispetto agli ultimi decenni, confermando così un trend in crescita già evidenziato nei risultati della ricerca del 2019, anche dal punto di vista della salinità di superficie e della stratificazione oceanica.
Il Mediterraneo risulta l'area maggiormente colpita dall’aumento sebbene la tendenza in rialzo sia quasi totale, ad eccezione del Pacifico del Nordest. Questo aumento globale impatta sulla nostra vita in molti aspetti: dall’innalzamento del livello marino all’aumento di acidificazione delle acque, dall’intensificarsi degli eventi atmosferici all’impatto sulla vita nelle zone costiere.
Chi vive il mare ha imparato a conoscere l’importanza del suo ruolo ma anche gli effetti più diretti del cambio di equilibrio nel suo sistema. Perché l’oceano e il mare non sono solo acqua, ma un reale sistema vivente e reagente.
Dal punto di vista scientifico, il riscaldamento oceanico globale a lungo termine è un indicatore chiave per capire meglio lo stato passato e presente del sistema climatico, permettendo di avere una migliore lettura sui cambiamenti futuri.
Oltre il 90% del calore prodotto dal riscaldamento globale di origine umana viene assorbito dall’oceano, aumentandone il contenuto di calore oceanico (OHC — Ocean Heat Content) e l'innalzamento del livello del mare, principalmente attraverso l'espansione termica e lo scioglimento del ghiaccio sulla terra. A livello globale questo fornisce un mezzo utile per quantificare il cambiamento climatico.
A livello più locale, invece, il monitoraggio del riscaldamento degli oceani è cruciale e rilevante per la valutazione del rischio comunitario e l'adattamento sociale. Ad esempio per comprendere l’impatto presente e futuro a livello di inondazioni, l’aumento del cuneo salino nonché l’intensificazione degli eventi atmosferici, anche nella loro frequenza.
Per dare un’idea delle dimensioni di calore e di energia assorbite dall’oceano, nel 2019 il gruppo di ricercatori ha rilevato che negli ultimi 25 anni l’oceano ha assorbito qualcosa come 228 Zetta Joules, pari a 3,6 miliardi di esplosioni di bombe atomiche di Hiroshima.
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Se da una parte, a livello globale, le previsioni sono quindi utili e necessarie per poter fissare obiettivi comuni a livello internazionale, a livello più locale è altrettanto vitale poter capire gli impatti più diretti che possono verificarsi verso le persone che abitano nelle zone più a rischio e in tal senso costruire delle politiche di azione per l’adattamento, la mitigazione e, dove possibile, la risoluzione di tali impatti, almeno nel breve-medio termine.
Le ondate di calore intenso sono un’altra conseguenza dell’innalzamento delle temperature, vere e proprie “bastonate” al mondo acquatico. E se quelle in atmosfera sono immediatamente palpabili da chi vive in superficie, noi compresi, quelle in acqua sono per noi meno dirette ma non meno gravi.
È l’esempio delle ondate sviluppatesi nell’Oceano Pacifico del Nordest nelle ultime decadi, che ha impattato su tutta la biodiversità oceanica. Tra il 2013 e il 2017, ad esempio, è scomparsa un’ingente quantità di fitoplancton, zooplancton, balene e merluzzi (100 milioni in meno, insieme al dimezzamento della loro deposizione di uova nello stesso periodo).
Un ulteriore aspetto critico è la stratificazione dell’oceano tra la parte superiore (da 0 a 2.000 metri) — più calda e con più salinità — e la parte inferiore — più fredda e meno salina —, aumentata in modo considerevole in questi ultimi 50 anni.
La ricerca evidenzia anche come dal 1990 ad oggi il calore stia penetrando sempre più dallo strato superficiale (0-500 metri) a quello più profondo (1.500-2.000 metri) con una conseguente sempre maggiore intensità di calore negli strati superiori.
Tale stratificazione ha un impatto su tre livelli principali:
- limita la penetrazione del calore derivante dal riscaldamento climatico nelle acque più profonde, contribuendo ad aumentare la temperatura di superficie;
- riduce la capacità dell’oceano di trattenere l’anidride carbonica, aggravando il calore della superficie globale;
- previene lo scambio verticale di nutrienti e di ossigeno necessari alla flora e alla fauna marina, impattando su tutta la catena alimentare, inclusa quella più in profondità.
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La ricerca pone quindi in evidenza l’importanza della cura dell’oceano nelle politiche internazionali, poiché assorbendo circa il 90% del calore di provenienza umana e circa il 30% delle emissioni di anidride carbonica, è strategico nel regolare e mitigare il riscaldamento globale. Ma l’attenzione maggiore va posta soprattutto considerando che l’oceano ha già assorbito una quantità gigantesca di calore e continuerà ad assorbire l’energia in eccesso del pianeta finché la temperatura globale non scenderà in maniera considerevole, caricandosi ulteriormente di calore e di energia.
Questo significa che tra l’energia e il calore già assorbiti e quelli che saranno assorbiti negli anni a venire, l’impatto continuerà comunque per un certo tempo anche in condizioni di emissioni zero di anidride carbonica — il cosiddetto feedback —, sugli eventi atmosferici per intensità, frequenza e modifica dei modelli di comportamento, sul livello del mare e sulla popolazione marina.
È importante, quindi, che le scelte politiche e strategiche a livello internazionale tengano conto non solo degli obiettivi di emissioni zero, di una più efficace sostenibilità, delle necessarie azioni di mitigazione e adattamento rispetto dal cambiamento climatico, ma anche dello stato di salute dell’oceano stesso.