Curiosity, Gerard ter Borch the Younger, ca. 1660–62 (Metropolitan Museum NY)

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Curiosity, Gerard ter Borch the Younger, ca. 1660–62 (Metropolitan Museum NY)
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Scrittrice è un termine piuttosto impegnativo, specie per le donne delle epoche precedenti all’odierna. È associato a una precisa ambizione: quella di misurarsi con i generi letterari, con le aspettative di un pubblico, con un mercato editoriale. È una storia che nelle antologie e nei manuali è abitata più da uomini dei ceti elevati che potevano dedicarsi alla scrittura, liberi da preoccupazioni materiali grazie alle loro rendite o al sostegno di un mecenate. Le scrittrici, quando appaiono in questi testi, sono presenze eccentriche, per lo più relegate nelle note, nelle appendici, nei riquadri.

Si limita a questo il rapporto delle donne con la scrittura? Il rischio che si corre in tal caso, ed è ciò che in genere si ritrova negli studi pur pregevoli sulle scrittrici, è quello di costruire inevitabilmente una storia letteraria separata, finendo, conseguentemente, per occuparsi di donne illustri o di donne conosciute, chi più e chi meno, isolandole dal contesto. Forse è invece proprio il caso di cambiare prospettiva e includere nel nostro sguardo le scriventi, oltre che le scrittrici.

La scrittura è infatti un territorio molto più esteso della dimensione letteraria e dimenticarsene contribuisce a far sparire in un cono d’ombra molti uomini e soprattutto moltissime donne che usarono della scrittura per necessità quotidiane che hanno lasciato poche tracce nelle antologie e che invece costituiscono una galassia ancora poco esplorata, nonostante la sua ampiezza.

Mi dedicherò di più alle “scriventi”, donne che hanno preso la penna per molti motivi ma che volevano, pur con grafie stentate o poco fluide, comunicare, esprimersi, far sentire la propria voce. Qui possiamo vedere la lettera della badessa Agnese del convento di San Michele in Campagna nel veronese (studiata dal filologo Alfredo Stussi): indirizzava nel 1326 una lettera a Tedisio Ugorossi, canonico del capitolo della cattedrale, per assicurarlo della buona disposizione sua e delle consorelle («le donne mee»).

Scrive in un volgare che risente molto del parlato ma la grafia è abbastanza esperta, una minuscola documentaria, e con un testo che presenta segni di interpunzione. La badessa doveva scrivere lettere, redigere note, registrare conti e beni che portavano al convento i fittavoli. E ricordiamoci che nei monasteri femminili venivano mandate le bambine a ricevere istruzione ed educazione. Saluti dalla badessa…

(tp)

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