La testimonianza più eclatante dell’alfabetizzazione femminile in crescita nel primo Cinquecento sono le carte scritte di proprio pugno da Bellezze Ursini, una vedova di circa 60 anni, abitante in un piccolo centro della campagna laziale. Bellezze si arrangiava a vivere facendo la serva in casa di Madonna Iacoma e aveva imparato da un’altra donna molti segreti: Io curo e medico ogni male
. Come al tempo succedeva alle donne umili che avevano queste competenze, incappava in un’accusa di stregoneria che sfociava in un processo che ebbe luogo tra il 1527 e l’anno successivo.
Sottoposta a tortura e spinta ad ammettere malefici e atti delittuosi, e a “divenire” ciò che si voleva fosse – ovvero una strega - venne convinta a stendere una confessione: io saccio umbrare, streare, amalare, afaturare, atossicare, e l’aio inzegnato
. Bellezze, nel raccontare i modi con cui aveva appreso e insegnato l’arte di divenire “fatuciera” (fattucchiera), paragonava tale esperienza al procedimento di acquisizione della scrittura: Como che chi impara la lettera se dà el principio de lo leiere e lo scrivere, e po’ se sequita secunno la incrinazione de onnechivelli [di ognuno], chi a uno modo chi a un altro, chi de piu e chi de mino
. Per Bellezze ciascuno poteva imparava, chi di più e chi di meno, chi diveniva esperto e chi rimaneva, come lei, in grado solo di tracciare stentatamente le parole. La sua confessione venne trascritta poi in un verbale giudiziario dal notaio che modificò anche in modo sostanziale le sue parole ed era il verbale il documento che era destinato a essere conservato. Ma talvolta la storia ripaga anche grazie a incidenti di percorso, casualità e disordine. La sua confessione autografa, stilata lungo otto fitte pagine con una grafia in cui non c’è traccia di corsività, con le lettere disegnate singolarmente, separate l’una dall’altra, si è infatti fortunatamente conservata ed è stata scoperta dal linguista Pietro Trifone all’interno di un faldone riguardante un gruppo di processi criminali presso l’Archivio di Stato di Roma. Ne riproduco l'inizio. È divenuto così un documento parlante della storia della lingua italiana e dell’alfabetismo dei ceti popolari.
Ma è molto, molto di più. Le sue parole “bucano” infatti la storia e quella sua scrittura incerta sa raccontare al meglio un crudele capitolo della misoginia e della paura delle donne del passato. Bellezze Ursini si tolse la vita in carcere.
(Tiziana Plebani, Le scritture delle donne in Europa, Carocci editore, pp. 59-60)