La diffusione dei volgari, della “lingua madre”, permise l’emergere di narratrici come Marie de France, una donna proveniente da un ambito, la corte anglo-normanna di Enrico II Plantageneto e di Eleonora d’Aquitania, che accolse e stimolò la produzione di letteratura in volgare.
Marie, vissuta nella seconda metà del XII secolo, la cui identità è stata recentemente ricollegata a quella della sorella di Thomas Becket, primate di Canterbury, si distinse come feconda autrice di favole e testi agiografici. Una voce consapevole, a giudicare dagli inizi delle sue composizioni che si aprono su quel “Moi” insistito, sovente ripetuto nel testo per ovviare all’oblio della sua persona.
Con Marie de France si inaugurava un nuovo genere di letteratura grazie ai suoi lais: racconti brevi in versi che trattano di amori e leggende di derivazione
bretone, legati al mondo femminile e che puntavano a valorizzare il patrimonio orale di narrazioni a rischio di dispersione. Scriveva infatti: Poiché ho cominciato a scrivere lais, non lascerò incompiuta la mia fatica. Racconterò in versi tutte le storie che conosco
. E la scelta del volgare ancor più saldava la sua opera con tale serbatoio di storie e la rivolgeva anche agli ignari di latino, in primis alle donne, grazie alla scelta della lingua materna, compiendo dunque un’operazione straordinaria di salvataggio e di riconoscimento della produzione poetica e narrativa delle donne.
Fu un’autrice di successo: a lei dobbiamo inoltre una delle prime e più rilevanti rappresentazioni iconografiche di una donna allo scrittoio che ha alimentato l’autorevolezza della scrittura femminile sul piano visivo e pertanto simbolico. Notiamo che tra le mani tiene il calamo (la penna) e il raschietto, strumento che serviva a eliminare gli errori dalla pergamena (BnF, Bibliothèque de l'Arsenal, Ms. 3142, f. 256), (Tiziana Plebani, Le scritture delle donne in Europa, Carocci editore, pp. 35-6)