Non è per orgoglio ma piuttosto per dare spazio a adeguate riflessioni, che pare opportuno sottolineare le origini mitiche del nostro continente.
Europa era la figlia di Agenore, re di Tiro, un’antica città fenicia. Il padre degli dei, Zeus, si innamorò perdutamente della fanciulla e decise di trasformarsi in un animale per poterla possedere. Decise di assumere le sembianze di un toro bianco. Europa lo vide mentre si recava sulla spiaggia con le sue ancelle, lo trovò molto bello e tentò di cavalcarlo. Il toro, allora, la rapì e fuggì con lei attraverso il mare, fino a raggiungere l’isola di Creta.
Le versioni del mito e le sue interpretazioni su questo punto sono discordanti. Secondo alcuni Zeus, in forma di toro e secondo altri, in forma di aquila, riuscì a possedere la fanciulla. Dall’unione tra Zeus ed Europa nacquero tre figli. Minosse, che divenne re di Creta, Radamanto, che divenne il giudice degli Inferi e Sarpedonte. Tutti tre vennero adottati da Asterio, re di Creta, che sposò Europa incoronandola così regina di Creta. Quando egli morì, Minosse divenne re di Creta e, in suo onore, i Greci chiamarono Europa il continente situato proprio a nord dell’isola.
Mito complesso, come si vede, che ha dato vita a diverse e contrastanti interpretazioni. Alla luce di questo racconto, è forte la suggestione a pensare che la storia del nostro continente provenga da una violenza, ma anche da un abbraccio tra il divino e l’umano che genera forza, vitalità, intelligenza, intuizione, estasi.
Il mito fa ricordare inoltre il legame di Oriente ed Occidente a comuni radici culturali. Viviamo in realtà in un periodo storico, artistico e civile nel quale molti europei sentono il bisogno di guardare all’Oriente, per arrivare a nuove conoscenze, a nuove realtà, a nuove sorprese, a nuove illusioni. In particolare, per l’Oriente più vicino, l’Europa avverte la necessità che si abbandonino i conflitti violenti di interessi e religioni, per perseguire il sogno utopico di convivenza, suggerito dalla possibilità di metabolizzare la violenza in una storia nuova.
Molte violenze ha subito anche l’Europa per molti secoli, quale terreno di scontri, conflitti e guerre che la devastarono dal tempi del mito. Risale al 1939 l’ultimo terribile conflitto che ha fatto temere l’autodistruzione, ma fortunatamente non è stato cosi. A guerra finita, sulla piccola isola di Ventotene, alcuni antifascisti al confino, che credevano fortemente alla pace e nella convivenza civile, ebbero una intuizione straordinaria inseguendo un sogno, scrissero il Manifesto per un’Europa libera e unita. Sembrava una follia: invece, finita la guerra, sei Paesi raccolsero la sfida, raggiungendo l’attuale numero di ventotto Stati aderenti, con una popolazione complessiva di 500 milioni di individui.
L’Unione Europea è non solo l’economia più grande del pianeta, ma anche uno spazio di pace e democrazia, una realtà al cui interno la qualità della vita è fra le più alte del mondo. L’Unione europea però, non è uno Stato. Ha una moneta unica, ma non un esercito; una politica agricola, ma non una politica estera collettiva; un mercato unico, ma non ancora un vero senso di appartenenza comune. La sua storia è fatta di successi, ma anche di mancate realizzazioni.
L’Europa è un esperimento mai tentato prima e ancora in corso. Come recenti vicende ben raccontano, forse non tutti hanno capito l’importanza della condivisione di problemi e progetti al fine di avere maggior peso nel mondo. I vantaggi che potrebbero derivare da una più solida collaborazione sono molteplici ed investono i più diversi ambiti della società civile. Nello stesso tempo l’Europa non può più ignorare due grossi problemi: quello relativo ai migranti e alla volontà di alcuni Paesi di rinunciare alla moneta unica ritornando a proprie valute.
Kaleidos nel numero dedicato all’Europa ha indagato vari settori, tra i quali la cultura, l’ambiente, l’arte, l’istruzione, la cura e tutela della persona, lo sport e la musica.
Proprio con la musica, con il suo linguaggio universale, sovranazionale, vogliamo concludere questo intervento per ricordare che l’inno europeo, mediato dalle trascinanti note di Beethoven e dalla poesia di Schiller, non parla di potere, di forza o di guerra, ma parla di gioia.