Per la prima volta erano nella stessa stanza. Fisicamente. Sentivano le loro voci, vedevano le loro facce, potevano sfiorarsi le dita mentre si passavano un accendino. Per la prima volta erano insieme ma scollegati. I pc erano spenti, i telefoni smontati, accatastati in un angolo del capanno, lontano dal fuoco del camino che faceva da unica illuminazione assieme ad alcune lampade da campeggio. Non c’era elettricità nella minuscola casa in pietra che una volta dava rifugio ai pastori lungo le pendici di una parete a picco. C’erano arrivati con un Suv che Damiano si era fatto prestare da un’amica, dopo essersi incontrati ai margini della stazione del treno a fondo valle. Sui campi c’era un’enorme crosta di neve, indurita da un vento freddo che ora di tanto in tanto rumoreggiava fuori dalla porticina e le finestre sprangate.
Ma loro non lo sentivano. Rintanati fra gli spessi muri in pietra, accalcati su dei tappeti ruvidi vicino al camino, si toglievano la parola a vicenda ridendo fragorosamente. Forse per la birra vegana, o qualcosa del genere, portata da Mark — «sembra di bere miele di castagno», si erano lamentati gli altri — o per la cassa di superalcolici che Axel aveva scoperchiato già in macchina, o per la marijuana coltivata da Karl, o ancora per il fumo che aleggiava nella stanza semibuia, fatto sta che Damiano si sentiva galleggiare in una sensazione di vaghezza dove tutto era sfumato.
«Quando ho bucato l’account di “Lady di coccio”, non ci volevo credere. Ricordo ancora la sua password: marilena76.»
Scoppiarono ancora a ridere. Karl si riferiva, con quel nomignolo che usavano solo loro, al profilo Twitter della sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, che qualche mese prima aveva improvvisamente iniziato a insultare tutti gli altri ministri, portando il governo sull’orlo di una crisi di nervi per alcune ore. Almeno finché non si era capito che l’account era stato hackerato da qualcuno.
«La parte più bella sono stati quegli articoli dei giornali d’opposizione», commentò Mark, mentre apriva l’ennesima birra. «’Quando gli hacker fanno comodo per coprire i propri passi falsi’.»
Risero ancora. Axel si alzò, rosso in viso per l’alcol e l’ilarità, provando a ravvivare il fuoco.
«Axel, ma eri tu che dialogavi a distanza con la sottosegretaria da dietro all’account del senatore Radianti, vero?»
«Sì, ma lì ci hanno messo di più a capire che era stato hackerato, perché non riuscivano a distinguere le mie frasi deliranti da quelle che dice di solito.»
Damiano scoppiò ancora a ridere distendendosi sul tappeto. Aveva atteso a lungo quel momento, loro quattro insieme dal vivo, in una casa di mattoni, dopo anni passati a parlarsi solo dentro stanze virtuali, e ora gli sembrava irreale. Non riuscivano neanche a chiamarsi coi loro veri nomi, ma solo con gli pseudonimi che si erano dati online. Quelli che usavano per comunicare soltanto fra loro quattro sul server segreto dove si incontravano la sera, attraverso connessioni cifrate. E che erano ancora diversi dagli alias che ognuno di loro usava sulle reti di chat dove si erano conosciuti e dove si radunavano hacker, attivisti, criminali, mitomani, ragazzini gasati e agenti di ogni tipo.
Damiano, Axel, Mark e Karl esistevano solo su quello specifico server, che avevano messo in piedi loro stessi. E, ora, finalmente, in quel capanno sperduto su una montagna. Stare su altre reti digitali pubbliche, anche quelle considerate più indipendenti e libertarie, era diventato troppo pericoloso: non ci si poteva fidare di chi le gestiva, e poi erano piene di infiltrati, di bot che registravano qualsiasi interazione e di link infetti. Damiano abbandonò la testa sul tappeto mentre Karl, che gli stava accanto semicoricato, era intento a girarsi una canna. E fu allora che lo sentì. Un rumore sordo, fuori dalla porta. All’inizio pensò che fosse il vento. Ma il rumore divenne improvvisamente fortissimo, e anche gli altri lo udirono raggelandosi. Si trasformò in un secondo in una serie di inequivocabili colpi contro la porta, qualcuno che stava cercando di aprirla con la forza, e poi un urlo:«Aprite!»
Scattarono tutti in piedi, in panico. Karl si gettò su alcune chiavette Usb che stavano nel mucchio dei dispositivi e dei cellulari smontati.
«Aprite, polizia!»
Axel si lanciò sui panetti di fumo e i mucchietti di marijuana gettandoli nel camino, mentre Karl vi buttava anche le chiavette. Un fumo acre, velenoso li investì all’improvviso, mentre i colpi piovevano ormai così forti che la porta si stava letteralmente sfasciando. Damiano fu colpito in viso da un pezzo di legno, ma ormai non riusciva più a respirare.
Francesco si svegliò di soprassalto mettendosi seduto. Aveva il fiatone, grondava sudore e ci mise qualche secondo per capire dove era, a casa sua, non in un capanno, e che aveva sognato. Era ancora tutto completamente buio. Accese la luce: cinque del mattino. Rimase qualche secondo immobile finché non si fu calmato, poi s’infilò una maglietta e si diresse barcollando in cucina.
Scritto da: Carola Frediani
Questo contenuto appartiene alla serie del libro: Fuori controlloCyber-thriller ambientato in Italia, scritto dalla giornalista investigativa Carola Frediani.