Quanto hanno contribuito le donne alla ricchezza delle città europee del Cinquecento, allo sviluppo delle manifatture, alla circolazione del denaro grazie al loro lavoro e attraverso l’acquisto non solo di beni di consumo ma anche di lusso? Molto e le recenti ricerche della storia delle donne e del lavoro l’hanno fatto emergere con chiarezza. Gli ambienti di lavoro inoltre mettevano in contatto con registri di contabilità, fatture, contratti; bisognava prendere confidenza con la lettura e la scrittura, due pratiche sempre correlate, specie nel mondo degli scambi economici. Le donne erano parte attiva nelle botteghe artigiane e dunque non stupisce il testamento della veneziana Speranza Salvador che lo stila l’ultimo giorno di marzo del 1505, che qui riproduco. Speranza scrive di essere vedova di Dimitri Dellio “cimador”. Che faceva un cimador? Rifiniva il panno di lana con delle apposite forbici che estraevano i peli, per rendere liscia e rasata la stoffa. Si trattava dell’ultima fase della lavorazione del tessuto e riproduco l'immagine della mariegola dell'arte. Dimitri Dellio non era un maestro e con buona probabilità, dato il nome, era un lavoratore immigrato, membro della vasta comunità albanese che era dedita a quel mestiere. E Speranza avrà di certo collaborato col marito all’attività che si svolgeva a casa, sopra delle tavole imbottite.
Una spia è proprio la scrittura autografa di Speranza, che utilizza ancora lo stile di scrittura tipico del mondo dei mercanti, la cosiddetta “mercantesca”, nata nel XIII secolo e diffusasi nel XV, mentre all’epoca in altri ambienti si scriveva già con una grafia più legata all’Umanesimo.
Forse Sapienza l’ha imparata in bottega, a fianco del marito, o forse dal padre, vista la consuetudine dei matrimoni all’interno del mestiere. Grafia arretrata, direbbe un paleografo, ma a noi interessa che scrive e ripete che il suo testamento è fatto “di mia mano propria”. Inoltre le permette di trasmettere le sue volontà a proposito del suo corpo che vuole seppellito a San Sebastian e di farci ipotizzare che ha avuto dei figli e le sono morti. Lasciava quindi dei ducati a sua nipote Marietta, che considerava come “mia fia” così come lasciava ad “Angela mia fioza” (era stata evidentemente la sua madrina di battesimo, la “comare”) e a suo nipote Zuanne (forse figlio del fratello) una bella somma, 200 ducati. Ma si prendeva la soddisfazione di fare memoria dei torti che aveva subito dalla sua famiglia e poneva alcune condizioni, ricordando che da suo fratello Pasqualin non aveva ricevuto (forse al tempo del matrimonio) né l’anello né i denari (forse della dote): pertanto demandava al nipote la possibilità di richiedere indietro quei beni però a patto che Zuanne non fosse andato ad abitare in casa dei parenti. In tal caso non avrebbe avuto né i denari né il resto. Donna decisa, la nostra Speranza!