Scene di vita presso il Ponte delle Guglie, anonimo, ca. 1700-1799 (Rijksmuseum)

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Nel maggio del 1509 Venezia per la prima volta nella sua storia si trovò ad avere il nemico alle porte e a essere minacciata nella sua libertà, rischiando anche di subire un assedio. Che cosa era successo?

A partire dai primi anni del Quattrocento, Venezia, per opporsi alla minaccia carrarese e salvaguardare la propria posizione d’influenza, aveva occupato Padova e molte altre terre a occidente, e lungo il secolo il suo dominio si era ulteriormente ampliato, dalla Lombardia al Friuli. La Repubblica ora aveva un vastissimo Stato di Terra oltre a quello di mare.

Nel dicembre del 1508 a Cambrai veniva stipulata una lega contro Venezia, accusata di essersi estesa a scapito degli equilibri della penisola, di aver peccato di arroganza e temerarietà. Una vastissima compagine di potenze europee si strinse con il compito di “punire” Venezia: dall’imperatore Massimiliano I al re francese Luigi XII, da Ferdinando V all'Inghilterra e all'Ungheria, e tra gli Stati italiani, Francesco II Gonzaga marchese di Mantova, Carlo III duca di Savoia e Alfonso I d'Este duca di Ferrara.

Gran manovratore era stato il combattivo papa Giulio II, apparentemente contrariato dal ritrarsi di Venezia dal progetto di un’ennesima crociata contro i Turchi, ma in realtà indispettito dall’occupazione delle terre della Romagna da parte della Repubblica. Nonostante gli sforzi diplomatici dei veneziani, la guerra fu proclamata e iniziarono anche a circolare canzoni e rime contro la Repubblica di san Marco: «Mora mora Veniciani,/mora ‘sti arabiati cani/con soi falsi tradimenti,/e da ogniun scaciati e spenti». Come succede anche nei nostri giorni, fake news, dileggio, accuse infamanti si scambiavano da ambo le parti e i nemici di Venezia si auguravano la sua fine: «El se aparechia tuto el mondo/ sol per farte trista e mesta,/ per mandarte al basso fondo/ con dolori e gran tempesta:/tutta Italia fa gran festa/ per veder tua disciplina,/qual vivrà con tal ruina/che andarai tutta a fracasso.»

Il fronte nemico era così ampio che in Senato si cominciò a discutere della possibilità di chiedere aiuto Turchi per combattere contro la lega, ma non se ne fece nulla.

L’esercito francese iniziò le sue manovre a metà marzo del 1509 penetrando nel dominio della Repubblica e dopo le prime scaramucce assestò per la prima sconfitta inflitta il 15 aprile all’esercito veneto. A Venezia la notizia provocò un grande sgomento che Sanudo registra fedelmente: «Hessendo eri sera tutta la terra di malavoglia, maxime quelli di pregadi».

La domenica 22 aprile il doge, Leonardo Loredan che qui vedete in un ritratto attribuito al Carpaccio dell’Accademia di Carrara (qui sotto nella galleria immagini), interveniva a spiegare che le ragioni di tanta animosità contro la Repubblica stavano nel suo essere «venuta in tanta alteza et che per questo eramo odiati» anche dai territori dello Stato, nonostante «li haveamo fato ogni ben».

Bisognava tuttavia esser certi che la guerra era ingiusta e che non si sarebbe perso «il stado, ch’è bellissimo» e anzi con l’aiuto di Dio lo sarebbe aumentato. Per propiziarsi la protezione divina il doge dettava l’agenda dei comportamenti da tenersi: era indispensabile evitare i peccati, specie la bestemmia e il «nephando vicio», rinunciare al lusso, assicurare a tutti la giustizia, osservare le leggi, e pagare le «angherie», ovvero le spese per sostenere lo sforzo di guerra, perché «si perdemo, perderemo un bel stado, non sarà più gran consejo, non saremo più in una terra libera nati».

(tp)

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