Il primo e forse più famoso albero della storia è quello della conoscenza, che offriva il suo frutto proibito al desiderio dei progenitori della stirpe umana. In quei tempi mitici e dorati, la sintonia dell’uomo con la natura era totale: la biblica coppia viveva felice, ma inconsapevole, nel suo paradisiaco idillio. Il primo atto di volontà e di autocoscienza però, sarà punito e darà inizio ad un cammino di difficoltà e di contraddizioni. Questa sintesi è la rappresentazione simbolica, valida non solo per i credenti, di come sia necessario per l’individuo essere in profonda armonia con l’ambiente.
Anche l’uomo d’oggi, così industrializzato, e allontanato dai suoi più profondi bisogni spirituali, trovandosi in un bosco, in un prato o in un giardino, avverte più o meno intensamente di vivere in una dimensione che ha molto a che fare con il suo essere umano. Gli alberi, i fiori e le piante lo riportano alle origini della sua vicenda, che è biologica e spirituale ad un tempo, e gli ricordano che all’inizio di tutte le cose c’era la grande madre Terra.
È l’esperienza mistica di quella che Mircea Eliade, il grande storico delle religioni, definisce autoctonia, il sentimento profondo di essere emersi dal suolo, di essere stati generati dalla Terra, allo stesso modo in cui essa ha dato origine, con una fecondità inesauribile, a rocce, fiumi, alberi, fiori. L’autoctonia è un sentimento cosmico che supera la solidarietà familiare e il senso di appartenenza ad un luogo specifico. È per questo che, quando siamo in contatto con la Terra, dimentichiamo ogni altro legame e non ci sentiamo soli, perché siamo in comunione con l’essere eterno ed immortale e, attraverso questo, con tutti gli altri esseri.
La Terra ci parla di noi e gli alberi sono il più straordinario simbolo dell’essere umano. Nascere da un ceppo, avere radici profonde, trarre nutrimento dalla linfa: le metafore linguistiche sono numerose e confermano la somiglianza tra gli alberi e gli uomini. Non c’è peggior destino, per entrambi, dell’essere sradicati.
La presunzione del controllo e dominio dell’ambiente ha spinto verso una condotta irrispettosa e miope, che sta portando al rischio di autodistruzione. Uno degli ambienti più drammaticamente aggrediti è la foresta. La demolizione sistematica degli alberi sconvolge non solo il clima, ma anche gli equilibri tra specie. Mentre gli uomini si difendono migrando – sradicandosi, in un contrappasso fatale – il mondo animale e vegetale subisce disequilibri, che si ripercuotono in modo indiscriminato. L’attuale pandemia ne è molto probabilmente un esempio.
La selvaggia deforestazione equatoriale, con la conseguente depauperazione di habitat per le locali specie animali, ha suggerito una chiave interpretativa della diffusione dell’attuale pandemia. Per la prima volta è maturata una vasta consapevolezza di quanto sia elevato il rischio ambientale. La prospettiva è che saremo a lungo coinvolti, e continuamente costretti, a cercare rimedi. Il disagio e la paura sono diffusi, ma non c’è ancora un cambio di modello culturale.
In questo, come in altri casi, ci sorregge la saggezza delle fiabe: se c’è una speranza di poter cambiare è il loro messaggio che indica il percorso.
Una antica leggenda africana racconta che un giorno, nella foresta, scoppiò un incendio. Gli animali cominciarono a fuggire verso la montagna per mettersi in salvo. I più coraggiosi, tra cui il leone, il rinoceronte e l'elefante cominciarono a parlare tra loro, per trovare una soluzione. Mentre discutevano, un colibrì si diresse verso il lago e mise una goccia d'acqua nel becco. Velocemente tornò indietro e lasciò cadere la goccia sull’incendio. Gli altri animali lo guardarono irridendolo. Il leone, re della foresta, gli domandò: “Cosa pensi di fare con una goccia? “Io – rispose – faccio la mia parte”.
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