Ebreo a passeggio nel Ghetto.

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Fu l'area circoscritta, vicino a San Geremia, che dal 1516 isolò e segregò la comunità ebraica dal resto degli abitanti veneziani. Sono presenti tre sezioni: il Gheto Vechio, il Novo e infine il Nuovissimo, quest'ultimo aperto solo nel 1633.

Oggi, nonostante la continua affluenza di turisti, si riesce ancora a respirare un forte sentimento di appartenenza, commemorazione e vicinanza alle vittime del genocidio, con le sue numerose targhe a testimonianza di quanto accaduto.

Nella sezione più occidentale del sestiere, tra il Canal (Rio) di Cannaregio e il ponte degli Agudi (oggi Ponte di Ghetto Vecchio) si estendeva, nel XIV secolo, un terreno, detto il Geto de rame, perché vi si trovava una fonderia con 14 fornaci: il Geto Vechio. L'isolotto antistante, un terreno fangoso e melmoso dove si scaricavano le scorie della fonderia, era detto il terren del geto. Esso ospitò, però, nel XV secolo, una fonderia di bombarde e prese il nome di Geto Novo.

Quando le fonderie risultarono insufficienti, i due terreni furono venduti a famiglie nobili, quali i Minotto, che ebbero gran parte del Ghetto Vecchio, e i Brolo, che, nel Ghetto Nuovo, costruirono, lungo il perimetro del campo, circa 25 case, aprirono il ponte verso S. Girolamo, scavarono tre pozzi, alcuni dei quali portano ancor oggi insegne nobiliari. Proprio in quest'ultimo spazio chiuso (Campo di Ghetto Nuovo), circondato da case basse, a due piani, tanto che talora veniva definito il castello, furono rinchiusi, nel 1516, i primi ebrei (soprattutto tedeschi e italiani), che, agli inizi del XVI secolo, abitavano nei vari sestieri di Venezia; mentre nelle lunghe calli che portano alle Fondamenta di Cannaregio (Ghetto Vecchio) furono accolti altri ebrei levantini nel 1541 e ponentini (spagnoli) nel 1589. Solo più tardi, nel 1633, fu aperto, dietro il Ghetto Nuovo, il Ghetto Nuovissimo.

“Il luogo era delimitato da due porte che, come aveva precisato il Senato il 29 marzo 1516 — sotto il dogado di Leonardo Loredan, sarebbero state aperte la mattina al suono della“marangona (la campana di San Marco che dettava i ritmi dell’attività cittadina) e richiuse la sera a mezzanotte da quattro custodi cristiani, pagati dai giudei e tenuti a risiedere nel sito stesso, senza famiglia per potersi meglio dedicare all’attività di controllo. Inoltre si sarebbero dovuti realizzare due muri alti (che tuttavia non saranno mai eretti) a serrare l’area dalla parte dei rii che la avrebbero circondata, murando tutte le rive che vi si aprivano. Due barche del Consiglio dei Dieci con guardiani pagati dai nuovi “castellani”, circoleranno di notte nel canale intorno all’isola per garantirne la sicurezza. Il 1 aprile successivo, la stessa “grida” venne proclamata a Rialto e in corrispondenza dei ponti di tutte le contrade cittadine in cui risiedevano i giudei”

La parola “Ghetto”

"È di opinion di mandarli tutti a star il Geto nuovo": così Marin Sanudo nei suoi Diari.

E la parola appare nei vecchi documenti con varie grafie: ghèto, getto, ghetto, geto, ma a indicare sempre, dopo il 1516, il luogo in cui furono rinchiusi gli ebrei. Quel “tratto di terreno chiamato il gettoo il ghetto - aggiunge il Tassini, nelle sue Curiosità veneziane - era la sede delle pubbliche fonderie, ove si gettavano le bombarde” e dunque “il luogo si chiamava el getto perché c'erano più di 12 fornaci e vi si fondeva il bronzo”, testimonia il Sabellico.

Ghetto, dunque, deriverebbe dal nome dell'isola dove esistevano le antiche fonderie. Questa è l'ipotesi, avanzata dal Teza, che trova oggi i maggiori consensi tra gli studiosi.

Sono state proposte, però, molte altre spiegazioni: dall'ebraico get, libello di ripudio, usato, secondo antichi documenti, dagli ebrei stessi a indicare 'separazione'; dal tedesco gehegt, chiuso; dall'antico francese gueat, guardia; da getto, molo, banchina, sulla quale sarebbero stati gettati, nel porto di Genova, gli ebrei profughi dalla Spagna nel 1492; dall'italiano borghetto; dall'antico inglese gatwon, strada; ma sono tutte etimologie più difficilmente accettabili.

Spetta dunque a Venezia aver diffuso nel mondo la parola che oggi indica segregazione e discriminazione sociale.

Una segregazione che, in prima battuta, poteva essere vista come una palese discriminazione che poi finì per trasformarsi anche in un’utile difesa, in quanto all’interno del Ghetto gli ebrei diventarono autonomi, quasi padroni delle loro azioni, in molti casi ben più di tanti abitanti e sudditi che vivevano alla completa mercé del doge, del principe, del papa o del re.

Come scrive Riccardo Calimani:

[...] il Ghetto “…pur nella precarietà dilagante disponeva, nonostante tutto, di poteri e privilegi che gli permettevano di farsi ascoltare e di trattare con i propri interlocutori all’esterno, con una libertà d’iniziativa in qualche caso sorprendente”.

(uf), (mt)